
Saman venne ripresa in vita per l’ultima volta dalla telecamera dell’azienda agricola in cui lavorava suo padre Shabbar Abbas poco dopo la mezzanotte del 1º maggio 2021 con il suo zainetto in spalla, mentre allegra si avviava con i genitori verso le serre, sotto lo sguardo del fratello minore che restò sull’uscio di casa. La madre Nazia Shaheen l’accompagnò con passo deciso nel luogo dell’imboscata finché non scomparvero nel buio della notte per un minuto o due, mentre il padre restò in attesa.
Al ritorno della donna, Saman non c’era più: secondo i Carabinieri la ragazza, nel frattempo, era stata consegnata dalla mamma allo zio Danish Hasnain e ai due cugini, Noman Ulhak e Ikram Ijaz, incaricati di farla sparire.
Dopo cinque minuti, passati in casa, il padre si incamminò di nuovo verso le serre, per poi ricomparire a mezzanotte e venti con lo zaino della figlia in mano.
E, a quattro anni dalla morte di Saman, è stata finalmente fatta giustizia. Correggendo la sentenza monca di primo grado e accogliendo l’impostazione dell’accusa, la Corte di Bologna ha confermato l’ergastolo per i genitori, ha inflitto l’ergastolo anche ai due cugini, che erano stati assolti e scarcerati per insufficienza di prove a loro carico, e ha alzato a 22 anni la condanna per lo zio, che aveva ottenuto una pena mite per aver fatto trovare il cadavere della nipote. Sono state riconosciute anche le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, escluse dalla sentenza di Reggio Emilia.
E per quanto il “fine pena mai” resti una misura incivile, questa sentenza rappresenta un segnale tardivo ma necessario con cui la società civile tenta di ristabilire una giustizia riparatrice per una ragazza abbandonata da tutti.
In aula i familiari di Saman hanno pianto, negando in tutti i modi di averla uccisa. Si sono accusati a vicenda, hanno smentito le dichiarazioni del fratello minore che per l’accusa era un testimone chiave. La madre è rimasta a lungo seduta a capo basso, senz’altro meno allegra e spavalda rispetto alle intercettazioni precedenti alla morte della figlia. I due cugini sono usciti dall’aula e sono rimasti fuori dal tribunale, insieme ai loro avvocati. Per il momento sono a piede libero.
Il 4 aprile è uscito il libro che le ho voluto dedicare. Ho deciso di prestarle la mia voce narrando, in forma di diario, i suoi sospetti, sentimenti e paure, ma anche sogni e intimi desideri. In questo modo ho ripercorso il suo ultimo anno di vita: le privazioni e le punizioni, le fughe, il viaggio in terra natale, il fidanzamento imposto, l’ingresso in comunità e l’amore per un ragazzo conosciuto sui social fino alla notte dell’esecuzione. Ho cercato di raccontare la storia di una ragazza italiana come tante altre che ha avuto una solo colpa, quella di voler vivere.
Elisa Giobbi (autrice del libro su Saman Abbas “Italian Girl”, Fernandel editore)