Delitto di Garlasco, ora anche i satanisti

Sette sataniche, suicidi e sensitive. Nel giallo di Garlasco si sta proiettando di tutto, persino gli esorcismi del mercoledì (perché, leggendo le carte, scopriamo che c’è pure l’appuntamento fisso!) al Santuario della Madonna della Bozzola. Nel turbinio si infilano anche le minacce arrivate agli avvocati che difendono Alberto Stasi, il fidanzato di Chiara Poggi, la ragazza uccisa il 13 agosto del 2007 nella ridente e tranquilla cittadina della profonda pianura padana lombarda, funestata, almeno così pare, dal male. Ebbene, al di là delle dubbiose presenze demoniache, i fatti ci trascinano al 12 dicembre 2015 e alla sentenza che ha portato in carcere il fidanzato biondo e colto. Un ragazzo perbene che per dimostrare la sua innocenza ha investito un patrimonio in avvocati e investigatori privati cercando nuove prove e altri colpevoli. Perché lui non vuole passare per quello che ha fracassato il cranio di una ragazza di 26 anni. Via libera, quindi, a un’ondata di dubbi che travolga la sentenza passata in giudicato. Poco importa se lo “tsunami di emozioni” di Stasi sia invece uno tsunami di dolore per due genitori e un fratello.
Tutte le richieste della difesa dell’ex bocconiano, corredate da denunce di atti persecutori, sono arrivate sul tavolo della procura di Pavia e la gip Daniela Garlaschelli ha accolto la richiesta di un maxi incidente probatorio nelle nuove indagini su Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara Poggi, oggi indagato per l’omicidio della ragazza. L’accertamento includerà non solo la comparazione del Dna di Sempio con i risultati ottenuti dal materiale trovato sotto le unghie della 26enne, ma anche analisi genetiche su numerosi reperti e campioni mai analizzati, tra cui confezioni di tè, yogurt, un frammento del tappetino del bagno e altri oggetti contenenti impronte. La Procura di Pavia accusa Andrea Sempio di omicidio in concorso con ignoti o con Alberto Stasi, già condannato definitivamente a 16 anni di carcere e da tre ammesso, per buona condotta, al lavoro esterno.
Intanto, Andrea Sempio si dice tranquillo. Già nel 2017 e poi nel 2020 è stato indagato per il materiale ritrovato sotto le unghie di Chiara Poggi ed entrambe le indagini, sempre sollecitate dalla difesa di Alberto Stasi, sono state archiviate. Si tratta di materiale già analizzato dal Ris di Parma subito dopo il delitto e attribuito, in quella prima perizia, alla vittima.
Una seconda interpretazione è arrivata nel 2014, durante il processo ad Alberto Stasi, con un nuovo perito che scrive di “parziali tracce di Dna maschile impossibile da interpretare e da attribuire a causa della degradazione e della contaminazione del materiale”.
Sono le ulteriori riletture della stessa perizia, firmate dai luminari incaricati da Stasi, ad aver riportato Andrea Sempio nel mirino della procura di Pavia e Alberto Stasi davanti alle telecamere delle Iene. “Sono innocente. Non ho ucciso Chiara. Ero davanti al mio pc per terminare la mia tesi di laurea”. Le Iene intervistano giudice e periti del primo processo (solo loro) che si concluse con l’assoluzione di Stasi: “Non possiamo pensare che chi abbia commesso un delitto così feroce sia poi tornato in casa sua e abbia continuato a scrivere la sua tesi, quindi che abbia portato avanti un lavoro impegnativo”. Nelle relazioni presenti nel fascicolo leggiamo: “(…) il pc di Alberto Stasi è stato acceso alle ore 9.36, con apertura di fotografie digitali fino alle ore 10.07”. Scopriamo che si tratta “di immagini erotico-pornografiche” e chissà quanta concentrazione mentale serve per guardare foto porno.
Non avevo nessuno motivo per uccidere Chiara”. Nell’intervista esclusiva, Stasi lo ribadisce più volte. Insomma, mancherebbe un movente. E ha ragione. Perché il movente è importante, se non lo si considera un punto di partenza di certo deve essere un punto di arrivo per una sentenza al di là di ogni ragionevole dubbio. Torniamo allora a Garlasco, a quella estate torrida del 2007. È la notte del 12 agosto. Chiara Poggi è ancora viva. Alberto Stasi contatta i suoi due amici più stretti, M. P. e S. P. con telefonate e sms. Il primo è l’amico “del cuore”, quello conosciuto sui banchi del liceo che con Alberto ha condiviso un appartamento a Londra, almeno fino al 4 agosto.
Certo, uno può telefonare e scrivere ai suoi amici quando meglio crede, anche in piena notte, e non è tenuto a conservare il testo dei messaggi. Che vengono, infatti, immediatamente cancellati. I dubbi sono arrivati a chi indagava e che quei messaggi avrebbe voluto leggerli.
Poche ore dopo, alle 13.45, Alberto Stasi si recherà a casa della fidanzata con la sua auto, una Volkswagen golf. Troverà Chiara con il cranio fracassato, colpita più volte con un oggetto contundente, “sicuramente in metallo”, scriveranno i periti, “forse un martello”. Chi l’ha uccisa l’ha spinta giù per le scale della cantina.
Alle 13.50.24 chiamerà il 118, quando ha già raggiunto la vicina stazione dei carabinieri. Mai sarà ritrovata l’arma del delitto. Il movente – che secondo Stasi manca – viene invece cercato nel pc, accanto alla tesi di laurea, in una cartella denominata “Militare”. Un movente che sembrerà chiaro subito, almeno a chi indaga: la ragazza potrebbe aver visto sul pc del fidanzato foto o video compromettenti. Potrebbe aver scoperto, oltre alle imbarazzanti stranezze che già conosceva, qualcosa di diverso. Di più grave.
C’è una mole imponente di documenti sull’omicidio di Garlasco. Sopralluoghi, analisi, referti, interrogatori. C’è la descrizione della scena del crimine con disegni, misure e posizione delle chiazze di sangue. Anche delle più piccole tracce ematiche. Sangue ovunque, anche all’ingresso: “(…) in prossimità della scala c’erano diverse chiazze di cui una particolarmente estesa con ciocche di capelli (…) un’estesa chiazza di sangue nel corridoio davanti alla scala che conduce al vano cantina”. Possibile che le suole delle scarpe di Alberto Stasi siano uscite da quel mattatoio immacolate? In casa sono state repertate diverse impronte di una scarpa con suola “a pallini” misura 42 che si ritiene possano appartenere all’assassino. Stasi ha invece consegnato un paio di scarpe Lacoste taglia 42 con motivo a “lisca di pesce”, le cui orme sono assenti dalla villetta.
Fra i reperti c’è anche una chiavetta Usb dove Chiara Poggi aveva salvato tre file sulla pedofilia con studi e approfondimenti sulla mente dei pedofili e sull’attrazione verso i minori. Perché bisogna anche ricordare, nonostante siano passati 18 anni, che sul pc di Alberto Stasi furono ritrovati dei video che, per esser sobri, definiamo “a luci rosse” oltre a immagini di minori, “frammenti scaricati da Internet per puro caso”, questo sostenne la difesa di Alberto Stasi, affidata ad Angelo Giarda, penalista con trent’anni di esperienza e professore di procedura penale alla Cattolica di Milano. “Scaricati senza consapevolezza”, e per questo Stasi fu assolto dall’accusa di pedopornografia nel 2014. Dei sobri video a luci rosse chi se ne frega, è pornografia legale.
Il presunto movente non tornerà sul tavolo della procura di Pavia, impegnata ad indagare altrove. E a valutare anche le nuove testimonianze che puntano su Paola e Stefania Cappa, le cugine di Chiara Poggi, che ai tempi del delitto ebbero una breve parentesi di celebrità con un fotomontaggio e una proposta di contratto da parte di Fabrizio Corona. Avevano un alibi: Stefania era in piscina e Paola aveva una gamba ingessata e non avrebbe potuto, con le stampelle, trascinare il corpo della ventiseienne fino alle scale della cantina. C’è una testimonianza inedita su strani suicidi e quella dell’acclarato mitomane che dice di aver visto Stefania Cappa, con occhiali da sole e arma del delitto sotto al braccio, allontanarsi in bicicletta dalla villetta della cugina. Possiamo crederci. Così come possiamo anche credere che Alberto Stasi si sia mosso su un pavimento sporco di sangue con un paio di Lacoste idrorepellenti o con un tappeto volante. Possiamo credere a tutto, anche alle messe sataniche. Anche all’ipotesi che il polverone serva a un assassino per scrollarsi di dosso il marchio di un omicidio infame e feroce.

(pubblicato sulla Libertà di Piacenza il 3 aprile 2025)

Author: Raffaella Fanelli

Giornalista, ha scritto per numerose testate, tra le quali la Repubblica, Sette - Corriere della Sera, Panorama, Oggi, e altrettante trasmissioni televisive, da Quarto grado a Verissimo a Chi l’ha visto? Ha realizzato interviste a Salvatore Riina, Angelo Provenzano, Vincenzo Vinciguerra, Valerio Fioravanti, Franco Freda. Nel 2018 pubblica "La verità del Freddo" (Chiarelettere), il libro intervista a Maurizio Abbatino, fondatore con Franco Giuseppucci della Banda della Magliana. Nel 2019 una sua inchiesta giornalistica permette alla procura di Roma di riaprire le indagini sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli e, nel 2020, dà alle stampe, con Ponte alle Grazie, "La strage continua. La vera storia dell’omicidio di Mino Pecorelli". Nel 2022 pubblica con Emons e il Fatto Quotidiano “OP”, il podcast sul delitto del giornalista. Del 2023 è "Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni?" (Ponte alle Grazie).

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