
Roma, 20 marzo 1979, ore 20.30. Con quattro colpi di pistola calibro 7.65 viene ucciso Carmine Pecorelli, direttore di Op, Osservatore Politico. Un giornalista scomodo e sempre informatissimo sui più loschi intrallazzi della Prima Repubblica. Dalle colonne del suo giornale denunciava episodi di corruzione e malcostume, attaccando anche i poteri forti, in particolare l’allora presidente del consiglio Giulio Andreotti. Conosceva l’arte dell’insinuazione e con i suoi articoli fu decisivo nella feroce campagna di delegittimazione che tra l’inverno del 1977 e il giugno del 1978 portò allo schianto della Presidenza di Giovanni Leone. Anche se, ancora oggi, si preferisce addebitare quelle dimissioni al best seller di Camilla Cederna, costruito peraltro su materiali di Op. Dopo 46 anni l’inchiesta sulla morte di Pecorelli è stata riaperta e l’uomo con l’impermeabile bianco che esplose quei quattro colpi di pistola sul giornalista molisano, ha un nome. Così come i mandanti che ne ordinarono l’omicidio. Non c’è ancora un rinvio a giudizio ma indagini contro ignoti avviate dopo un’inchiesta giornalistica, con registrazioni e interviste, già finita nelle sentenze che, a Bologna, hanno condannato all’ergastolo l’ex Nar Gilberto Cavallini e l’ex avanguardista Paolo Bellini, con l’accusa di concorso nella strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna.
“Mi disse che stava preparando lo scoop della vita”, ricorda Paolo Patrizi, all’epoca caporedattore di Op. “Poche ore prima dell’agguato aveva incontrato un uomo e ci aveva chiesto di raccogliere notizie su Pietro Musumeci”. Iscritto alla P2, Pietro Musumeci, lo ricordiamo, fu indagato e condannato a nove anni, insieme a Licio Gelli, all’ufficiale del SISMI Giuseppe Belmonte e a Francesco Pazienza per aver depistato le indagini sulla strage di Bologna. Su cosa stava indagando Mino Pecorelli? Cosa avrebbe pubblicato? Perché è in una notizia inedita il movente del suo omicidio. E nell’inchiesta giornalistica che ha portato alla riapertura del caso c’è anche il movente. Ci sono dodici pagine di un dossier su Avanguardia Nazionale e sull’attività eversiva del movimento fondato da Stefano Delle Chiaie e Adriano Tilgher che chi scrive ha trovato in uno dei tanti scatoloni conservati nell’archivio del tribunale di Perugia dove, quando si stava processando Giulio Andreotti (poi assolto) con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio Pecorelli, è finito tutto il materiale sequestrato nella redazione di Op, in via Tacito. Si tratta di un dossier che Mino Pecorelli avrebbe sicuramente pubblicato, se non lo avessero ucciso prima. Un dossier che porta ai mandanti. E al killer, ancora vivo. “Nomi che arriveranno alla Commissione Antimafia. Che avrà il dovere e l’obbligo di intervenire perché oggi, grazie al lavoro della collega che ha permesso di far riaprire il caso, abbiamo non solo ipotesi ma carte e testimonianze. E pretendiamo la verità su un delitto che ha segnato la storia della nostra Repubblica”. Vincenzo Cimino, presidente dell’ordine dei giornalisti del Molise, costituito parte offesa nella nuova inchiesta, annuncia di aver chiesto, attraverso la deputata Stefania Ascari, l’intervento della Commissione Antimafia. “Sarà presentata una memoria con la richiesta di istituire un filone di indagine. Abbiamo indicato un elenco di persone che devono essere sentite. Già da subito la Commissione potrà convocare i familiari di Pecorelli e i legali che rappresentano l’ordine molisano e l’Fnsi (la federazione nazionale della stampa italiana). Chiediamo indagini serie sull’omicidio del collega. Non accetteremo archiviazioni”. Ma potrebbe non essere la procura di Roma a deludere, con una richiesta di archiviazione, quanto un diniego che potrebbe arrivare proprio dalla presidente della Commissione, Chiara Colosimo. Per carità, è solo la malaugurata ipotesi di chi scrive. Peraltro, a leggere le carte, ci sarebbe un coinvolgimento di ex dei Nar e di Avanguardia Nazionale nell’omicidio del giornalista ed è fuor di dubbio che la Commissione, istituita per svolgere indagini e ricerche su casi di interesse pubblico oltre che su terrorismo e mafia, debba occuparsi di Pecorelli. Lo sanno tutti, anche in Commissione, che i nuclei armati rivoluzionari di Valerio Fioravanti sono stati un’organizzazione terroristica così come il movimento neofascista e golpista fondato da Stefano Delle Chiaie e Adriano Tilgher. Perché mai Chiara Colosimo dovrebbe opporsi?
(pubblicato sulla Libertà di Piacenza il 20 marzo 2025)