Via Poma, nuove indagini e vecchie omertà

Mercoledì 8 agosto 1990. Le foto di una bella ragazza in riva al mare, stretta in un costume bianco e sgambato, occupano le prime pagine dei quotidiani in edicola. Si chiama Simonetta Cesaroni e ha vent’anni. È stata uccisa con 29 colpi di tagliacarte il giorno prima, a Roma, negli uffici dell’Aiag, l’associazione italiana Alberghi della gioventù di via Poma. Chi l’ha uccisa ha portato via i suoi vestiti. Ci sono solo i calzini, il reggiseno in pizzo abbassato sotto i seni e il corpetto, non intriso di sangue, adagiato sull’addome. È stato appoggiato su Simonetta quando il sangue era già raggrumato, quindi almeno 45 minuti dopo l’omicidio. Quale assassino si tratterrebbe così a lungo sul luogo del delitto?
Non ci sono tracce di violenza sessuale e il pavimento alle spalle di Simonetta è ricoperto da impronte semicircolari rosacee, a forma di nastro, che vanno a congiungersi con la macchia di sangue singola sotto la linea del collo.
Da subito comincia a farsi largo la facile e comoda ipotesi del portiere assassino e l’11 agosto, Pietrino Vanacore, custode dello stabile di via Poma, finisce a Regina Coeli. Ci sono tracce di sangue sui suoi pantaloni. Sangue che risulterà essere del portiere. Il tribunale della libertà, dopo 26 giorni di carcere, lo rimanda a casa con tante scuse. Le indagini ripartono, scombinate e contraddittorie. Appaiono manovrate. Quasi depistate. Nel 1992, grazie alla soffiata di un presunto confidente dei servizi segreti, tale Roland Voller, un austriaco con precedenti per truffa, si arriva a un nuovo indiziato. Si tratta di Federico Valle, nipote di Cesare Valle, inquilino dello stabile. L’accusa per lui è di omicidio volontario. Nell’inchiesta ripiomba anche il portiere, accusato di favoreggiamento. Saranno prosciolti entrambi, tre anni più tardi.
Nel 2008, la procura di Roma rinvia a giudizio Raniero Busco, l’ex fidanzato di Simonetta che sarà condannato a 24 anni in primo grado e assolto in appello “per non aver commesso il fatto”. Sentenza confermata in Cassazione.
Nel marzo del 2022, trentadue anni dopo, le indagini si riaprono, con gran bailamme mediatico: una nuova testimonianza mette in discussione l’alibi dell’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, presidente dell’Aiag, gli uffici dove Simonetta lavorava per due pomeriggi alla settimana e dove sarebbe stata uccisa.
A un anno di distanza, nel marzo del 2023, al nome del sospettato, peraltro già defunto, si accodano una serie di personaggi, in parte mai comparsi nell’inchiesta. E spunta, nell’ottobre del 2024, il foglio presenze del 7 agosto 1990 conservato con cura – chissà per quale motivo – da Luigia Berrettini, una collega di Simonetta, la stessa che dichiarò di aver saputo dall’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, il presidente degli ostelli, che dietro all’omicidio di Simonetta Cesaroni ci sarebbe stato “qualcosa di grosso”. La stessa che dichiarò di aver parlato al telefono con Simonetta alle 17.15 e poi di averla richiamata dieci minuti dopo, blindando l’orario del delitto a un momento successivo alle ore 17 e non precedente, come suggerirebbe la poltiglia alimentare ritrovata nello stomaco della ragazza.
Il pasto, tra l’altro scarno (risotto con gamberi e una mezza pizzetta), avrebbe dovuto impiegare non più di due ore e mezza per defluire dal cavo gastrico. Simonetta terminò il pranzo, stando alle testimonianze della madre e della sorella, intorno alle ore 14, quindi la sua morte deve essere avvenuta prima delle 17.
È sempre da Luigia Berrettini che arrivano altre importanti informazioni: “Il sabato precedente il delitto ho trovato, nel mio posacenere, le cicche di due differenti sigarette, una con il filtro bianco e l’altro di color paglierino”. La Berrettini lo dichiara ai magistrati, nei giorni successivi all’omicidio, e dice anche di averli buttati. Inoltre, ricorda – e lo fa mettere a verbale – di aver visto, quel 7 agosto, gli uffici di uno studio della scala B con le finestre aperte “(…) fui colpita dalla circostanza perché sentii che c’era qualcuno all’interno e invece il giorno precedente era tutto chiuso”.
Degli altri uffici, agli investigatori, importa poco, d’altronde Simonetta è stata uccisa all’interno dell’Aiag e sotto ai suoi calzini – lo scrivono i periti – risultano esserci trucioli di segatura, assenti, però, dalla cosiddetta scena del crimine.
Il corpo di Simonetta fu lasciato nudo e con le gambe divaricate, per far pensare ad uno stupro che non c’era stato. Chi costruì quella scena portò via anche i soldi e i gioielli della ragazza, oltre ai suoi vestiti. E nessuno ha mai spiegato perché. Così come nessuno ha mai spiegato perché tutti, o quasi, gli impiegati dell’Aiag presero le distanze da Simonetta. Tutti dissero di non averla mai vista. Anche Luigia Berrettini.
Ma lasciamo i vecchi verbali e le vecchie omertà per tornare alle nuove indagini.
È il 6 gennaio 2024. Sui giornali finisce una relazione dei carabinieri, depositata mesi prima alla procura di Roma, che indica in Mario Vanacore, il figlio del portiere di via Poma, il killer di Simonetta Cesaroni. Stando agli esperti investigatori, il figlio di Pietrino Vanacore sarebbe entrato negli uffici dell’Aiag per scroccare delle telefonate e, scoperto dalla ragazza, avrebbe prima cercato di violentarla e poi l’avrebbe uccisa. Una ricostruzione priva di prove tanto che i pm di piazzale Clodio parlano di “suggestioni” e ne chiedono l’archiviazione.
L’inchiesta passa di mano e le indagini proseguono. In procura viene convocato Sergio Costa, ex agente del Sisde e genero, all’epoca, di Vincenzo Parisi. Fu il primo ad arrivare in via Poma eppure il suo nome non compare in nessuno dei verbali redatti quel 7 agosto del 1990. Della sua presenza si saprà soltanto tre anni dopo il delitto. “Ci sono andato non in funzione di agente dei servizi ma in qualità di responsabile della centrale operativa. Fui io a ricevere la chiamata del 113 e mi precipitai con un collega sul luogo dell’omicidio”. Ma il responsabile di una centrale operativa non va mai sul luogo di un delitto, semmai coordina l’invio di volanti e funzionari. Allora perché Costa si recò nell’appartamento di via Poma? Lo chiariranno le indagini, forse. In procura saranno convocati anche gli ex impiegati ancora in vita, i familiari e gli amici di Simonetta e i familiari del portiere Pietrino Vanacore che il 9 marzo 2010 – tre giorni prima di testimoniare nel processo contro Raniero Busco – si sarebbe suicidato, esasperato, stando a due cartelli lasciati prima di uccidersi, dai sospetti sul suo conto. Peccato che sul banco degli imputati ci fosse un’altra persona, non lui. Ora, francamente, al di là del possibile stress del Vanacore (che la giustizia considerava innocente), come è possibile non rimanere turbati da un suicidio che avviene alla vigilia di un interrogatorio? Cosa sapeva Vanacore? Il portiere di via Poma non ha lasciato lettere di addio né testamenti-verità, solo tanti dubbi sulla sua strana morte. Di certo non era il solo a sapere. Anche quei colleghi che dicono di non aver mai visto e di non aver mai incontrato Simonetta Cesaroni, potrebbero essere a conoscenza di cose non dette e magari utili alle indagini. Perché la chiave del giallo è in quegli uffici e in chi li frequentava.

(pubblicato sulla Libertà di Piacenza il 27 marzo 2025)

Author: Raffaella Fanelli

Giornalista, ha scritto per numerose testate, tra le quali la Repubblica, Sette - Corriere della Sera, Panorama, Oggi, e altrettante trasmissioni televisive, da Quarto grado a Verissimo a Chi l’ha visto? Ha realizzato interviste a Salvatore Riina, Angelo Provenzano, Vincenzo Vinciguerra, Valerio Fioravanti, Franco Freda. Nel 2018 pubblica "La verità del Freddo" (Chiarelettere), il libro intervista a Maurizio Abbatino, fondatore con Franco Giuseppucci della Banda della Magliana. Nel 2019 una sua inchiesta giornalistica permette alla procura di Roma di riaprire le indagini sull’omicidio del giornalista Mino Pecorelli e, nel 2020, dà alle stampe, con Ponte alle Grazie, "La strage continua. La vera storia dell’omicidio di Mino Pecorelli". Nel 2022 pubblica con Emons e il Fatto Quotidiano “OP”, il podcast sul delitto del giornalista. Del 2023 è "Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni?" (Ponte alle Grazie).

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